La dialettica trascendentale


La Dialettica trascendentale è la parte della Critica in cui Kant esamina la ragione che cerca di funzionare in modo «puro», ossia prescindendo dalla sensibilità, cercando di costruire oggetti che non sono dati nell’esperienza (ossia sono metafisici, nell’accezione kaantiana del termine). Così facendo però la ragione si è avvolta in contraddizioni insanabili che bisogna dissolvere per poter esaminare l’eventuale diritto della metafisica a porsi come sapere scientifico. Se l’attività propria dell’intelletto è di unificare le rappresentazioni nei giudizi, quella della ragione è quello di unire i giudizi creando i sillogismi. Kant segue Aristotele nell’affermare che, per formare un sillogismo, sono necessari tre giudizi: premessa maggiore, premessa minore e conclusione. Tuttavia Kant insiste sul fatto che ciascuna premessa può diventare a sua volta la conclusione di un altro sillogismo, e così via, formando lunghissime catene di giudizi, apparentemente infinite. Per poter dire di conoscere veramente la conclusione del primo ragionamento, è indispensabile conoscere la totalità delle premesse. La ragione quindi è intrinsecamente dinamica poiché è costitutivamente spinta alla ricerca della totalità delle condizioni che è necessario ammettere per giustificare la conclusione: detto in altre parole, la ragion pura è l’organo della totalità.

Le idee della ragione
La ragione opera con le idee, che naturalmente non vanno intese nel senso usuale del termine: esse infatti esprimono la totalità delle condizioni dell’esperienza. Le esperienze possibili sono due: l’esperienza interna e quella esterna. Alla prima corrisponde l’idea dell’anima (totalità dei fenomeni dell’esperienza interna), alla seconda quella del mondo (totalità dei fenomeni dell’esperienza esterna). Ad esse viene unita una terza idea, quella di totalità di tutte le totalità, che viene indicata con la parola Dio. Secondo Kant la metafisica tradizionale ha commesso un errore fondamentale, considerando le tre idee della totalità come altrettanti oggetti, che in quanto tale dovrebbero essere conoscibili: è quello che Kant chiama uso costitutivo delle idee. Le idee invece non possono essere considerate oggetti perché esprimono solo la totalità, che non può mai per definizione essere raggiunta.

L’idea di anima
L’idea di mondo, per esempio, è l’idea della totalità di tutte le possibili esperienze, che non può mai essere completamente esaurita dall’esperienza concreta e vissuta che ciascun soggetto sta vivendo, poiché in realtà siamo a conoscenza solo di un frammento di esso. Lo stesso vale per l’idea di anima, per quanto riguarda la totalità dell’esperienza interna, e di Dio come totalità di tutte le totalità. Per criticare l’idea di anima Kant esamina la posizione di Cartesio notando che contiene un fondamentale paralogismo: prima il termine anima indica l’attività del pensiero (il cogito), poi passa ad indicare la res cogitans, una «cosa pensante». Quella che era correttamente indicata come una condizione logico-trascendentale della conoscenza viene così trasformata in un oggetto (illusorio).

Queste considerazioni portano però a un grave problema. L’Ich denke (o appercezione trascendentale, come la chiama anche Kant) è il fondamento dell’esperienza, ma non è a sua volta un oggetto di esperienza: ciò significa che, in senso proprio, non può essere conosciuto. La difficoltà consiste proprio in questo: il principio della conoscenza è destinato a esserci, in linea di principio, sconosciuto. È una difficoltà dalla quale Kant non riuscirà a liberarsi.

L’idea di mondo
Per quanto riguarda l’idea di mondo, Kant confronta le posizioni di razionalisti ed empiristi. La cosmologia razionale si fonda sull’idea di mondo inteso come totalità delle condizioni dei fenomeni. L’illusorietà del tentativo della ragione di conoscere il mondo come totalità è dimostrata dal fatto che esso conduce all’errore strutturale della antinomia. Le antinomie sono ragionamenti contrapposto che partono dalla stessa premessa, si sviluppano in modo corretto, ma giungono a conclusioni opposte. Kant distingue quattro antinomie: le prime due sono dette «matematiche» e le altre due «dinamiche». Le prime considerano le dimensioni dell’universo: i razionalisti sostengono che l’universo abbia un limite esterno nello spazio e nel tempo e che nella divisione degli elementi si deve arrivare a un elemento semplice, non più divisibile, mentre gli empiristi sostengono il contrario. Le seconde considerano la libertà (che viene ammessa dai razionalisti e negata dagli empiristi) e l’esistenza di un essere necessario (ammessa dai razionalisti e negata dagli empiristi)

La soluzione di Kant consiste nel sostenere che le antinomie matematiche sono entrambe false poiché si basano sull’errore di considerare il mondo come un oggetto, mentre le antinomie dinamiche richiedono una distinzione: le tesi sono vere sul piano noemenico e false sul piano fenomenico, e viceversa per le antitesi. In altre parole Kant sostiene che sul piano del fenomeno è corretto dire che nel mondo dell’esperienza gli uomini sono privi della libertà, perché tutto quello che fanno ha una causa, ma è corretto nello stesso tempo anche dire che sono liberi, sul piano noumenico.

L’idea di Dio
Nell’ultimo tratto della Dialettica trascendentale Kant si confronta con la dimostrazione dell’esistenza di Dio. Anche l’idea di Dio, così come l’idea di anima e di mondo, è un’idea che ha un uso regolativo e non costitutivo, cioè non può produrre un oggetto, ma deve indicare la direzione nella quale deve procedere la nostra coscienza nello sviluppo dell’esperienza. Tuttavia la ragion pura commette l’errore strutturale di trasformare Dio in un oggetto cercando di dimostrarne l’esistenza.

Di qui le prove dell’esistenza di Dio, che Kant riassume in queste versioni:

prova ontologica o a priori

prova a posteriori

prova teleologica

Prova ontologica

Kant pensa che la prova ontologica per eccellenza sia strutturata come la terza prova di Cartesio: «La definizione, ossia il concetto, di Dio è quello di un essere perfettissimo; ma l’esistenza è una perfezione; quindi se Dio non esistesse non avrebbe la perfezione dell’esistenza (che invece gli spetta in base alla propria definizione) e sarebbe contraddittorio». Chi difende questa prova sostiene quindi che sia possibile dedurre l’esistenza attuale a partire dal concetto di esistenza, ovvero che si possa passare dal livello concettuale al livello dell’esistenza. Per Kant invece l’esistenza non è un concetto ma la semplice posizione di una cosa, ovvero il suo «esser posto», il suo manifestarsi nell’esperienza. È impossibile passare da un livello all’altro, perché sono incommensurabili. Quello che ottengo dalla prova è il concetto dell’esistenza di Dio, non la sua esistenza reale. Pertanto l’argomento ontologico può al massimo dimostrare che il concetto di Dio può contenere il concetto della sua esistenza, senza però uscire al di fuori della dimensione concettuale.

Prova a posteriori (o fisico teologica)

Anche la seconda tipologia di prove viene ricondotta da Kant a Cartesio: «Il mondo esiste sicuramente ma il mondo (così come me stesso) non può essersi creato da solo, quindi bisogna ammettere l’esistenza di un altro ente trascendente come causa del mondo». La prova pensa di dimostrare Dio come causa del mondo o almeno dell’esperienza: ma secondo Kant il principio di causa è solo una categoria che serve a unificare le rappresentazioni all’interno dell’esperienza. Quindi mai e in nessun caso il principio di causa può essere usato per uscire dall’esperienza e affermare l’esistenza di Dio (o di qualunque ente trascendente).

Prova teleologica

Il terzo e ultimo tipo di prove dell’esistenza di Dio è tratto dall’ordine, dall’armonia, dalla bellezza e dal finalismo presenti nella natura («telos» in greco vuol dire fine, scopo): «Il mondo è ordinato; ma non è possibile che le cose, lasciate a se stesse, siano ordinate; quindi bisogna ammettere l’intervento di un Dio esterno”. Per Kant la prova teleologica dimostra al massimo solo l’esistenza di un Dio ordinatore, di un «architetto del mondo», ma non prova che sia stato questo stesso Dio ad aver prodotto il mondo: quindi ha bisogno di appoggiarsi alla prima prova, che abbiamo già scartato.

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